L’omicidio di Piersanti Mattarella, avvenuto il 6 gennaio 1980 a Palermo, rappresenta uno dei crimini più significativi della storia italiana contemporanea. Il presidente della Regione Siciliana fu assassinato in via Libertà mentre si recava a messa con la moglie, ucciso da sicari di Cosa Nostra in un attentato che portò alla luce conflitti tra poteri politici e criminalità organizzata. Dopo 45 anni di incertezze e misteri, una svolta decisiva nelle indagini ha portato, il 24 ottobre 2025, all’arresto dell’ex prefetto di Palermo Filippo Piritore con l’accusa di depistaggio. Piritore è indagato per aver occultato prove cruciali — un guanto ritrovato sull’auto dei killer — impedendo così l’identificazione tempestiva dei responsabili. Le nuove indagini, riprese dopo decenni, hanno rivelato intercettazioni rilevanti e hanno portato all’ufficiale iscrizione nel registro degli indagati di Nino Madonia e Giuseppe Lucchese, due noti killer di Cosa Nostra ritenuti gli esecutori materiali del delitto. L’inchiesta rimane attiva e continua a sollevare interrogativi sulla responsabilità dello Stato nel depistaggio di un caso che ha profondamente segnato la politica siciliana e nazionale.
Chi era Piersanti Mattarella
La figura politica del presidente siciliano
Piersanti Mattarella nacque a Palermo e rappresentava una generazione di politici che mirava a rinnovare la Democrazia Cristiana in Sicilia. Fu presidente della Regione Siciliana dal 1978 al 1980, assumendo l’incarico a soli 45 anni con ambizioni riformatrici destinate a trasformarlo in una figura centrale della politica nazionale. La sua carriera politica era caratterizzata da una volontà di combattere la corruzione e l’influenza della mafia sulle istituzioni regionali, rappresentando una speranza di cambiamento in un’epoca segnata dal malgoverno e dall’infiltrazione mafiosa.
L’eredità di Aldo Moro e la “Solidarietà Autonomistica”
Mattarella era stato allievo politico di Aldo Moro, il carismatico leader della Democrazia Cristiana nazionale sequestrato e ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978, pochi mesi prima dell’ascesa di Mattarella al governo regionale. La formula politica della “Solidarietà Autonomistica” da lui promossa consentì la nascita di un governo regionale innovativo, supportato dal PCI (Partito Comunista Italiano), un esperimento politico raro e audace per l’epoca. Questa esperienza trasformò la Sicilia in un laboratorio politico dove sperimentare nuove alleanze e strategie di governanza, ma al contempo lo espose a tensioni ideologiche e agli interessi mafiosi che vedevano minacciata la loro influenza.
Il legame con Sergio Mattarella
Sergio Mattarella, fratello minore di Piersanti, era presente al momento dell’attentato e sorresse il corpo del fratello ancora all’interno dell’auto, scatto immortalato dalla fotografa Letizia Battaglia che divenne celebre. Sergio Mattarella proseguì la carriera politica e istituzionale, diventando presidente della Repubblica italiana dal 2015, mantenendo viva la memoria di Piersanti e della sua missione riformatrice. La traiettoria dei due fratelli — uno sacrificato dalla violenza mafiosa e uno che raggiunge la massima carica dello Stato — rappresenta una delle vicende più tragiche e simboliche della storia italiana contemporanea.
La dinamica dell’omicidio del 6 gennaio 1980
Le circostanze dell’attentato
La mattina di domenica 6 gennaio 1980, festa dell’Epifania, Piersanti Mattarella usciva di casa in via Libertà a Palermo insieme alla moglie Irma Chiazzese, alla figlia Maria e alla suocera Franca Chiazzese Ballerini. Era seduto al volante della propria Fiat 132 mentre la moglie occupava il sedile passeggero e le donne il sedile posteriore; il figlio Bernardo stava chiudendo il garage e si sarebbe unito al gruppo poco dopo. Un giovane uomo, descritto da testimoni con un giubbino azzurro e a volto scoperto, si avvicinò improvvisamente al lato guida dell’auto e aprì il fuoco attraverso il finestrino.
Le fasi della sparatoria
Il killer esplose 5-6 colpi di rivoltella calibro 38 che colpirono Mattarella, facendolo cadere immediatamente sulle gambe della moglie. L’arma del primo attentatore si inceppò — per cause ancora sconosciute, dal momento che la pistola non fu mai ritrovata — costringendo l’assassino a correre verso una Fiat 127 bianca parcheggiata pochi metri più avanti. Un complice alla guida del veicolo gli consegnò un’altra rivoltella dello stesso calibro, con cui il killer ritornò verso la Fiat 132 e esplose altri colpi con traiettoria diagonale attraverso il finestrino posteriore destro. Questi ultimi colpi raggiunsero ulteriormente Mattarella e ferirono una mano di Irma Chiazzese, che aveva tentato di proteggere il volto del marito, ormai in condizioni critiche.
Il ruolo della famiglia nel trauma
Irma Chiazzese rimase profondamente segnata dall’accaduto, non solo per le ferite fisiche ma per il trauma di aver assistito all’assassinio del marito. I testimoni ricordarono il gentile sguardo ghiacciato del killer e l’andatura ballonzolante con cui si muoveva, dettagli che rimasero impressi nella memoria collettiva e negli atti investigativi. La presenza dei familiari nel momento dell’attentato rese il delitto ancora più brutale e seminò terrore in ambiti politici, evidenziando come nessun ruolo istituzionale garantisse protezione dalla violenza mafiosa.
La svolta nelle indagini dopo 45 anni
L’arresto di Filippo Piritore
Dopo quattro decenni e mezzo, il 24 ottobre 2025, l’ex poliziotto e prefetto di Palermo Filippo Piritore è stato arrestato con l’accusa di depistaggio dell’indagine sull’omicidio Mattarella. Secondo le accuse della procura palermitana, Piritore avrebbe occultato prove cruciali rinvenute sulla scena del crimine, in particolare un guanto ritrovato sull’auto dei killer che rappresentava un elemento decisivo per l’identificazione dei responsabili. L’arresto rappresenta una svolta significativa in una vicenda rimasta avvolta nel mistero per decenni, aprendo scenari inediti sui depistaggi deliberati e sulla possibile complicità di apparati dello Stato.
Le prove del depistaggio
Le nuove indagini hanno rivelato intercettazioni rilevanti e documentazione che provano come il guanto, anziché essere sottoposto a esami forensi e conservato secondo le procedure, fu nascosto e mai utilizzato per indagini identificative. Questo comportamento costituisce depistaggio, ovvero l’attività deliberata di inquinamento delle prove e deviamento dell’inchiesta da percorsi investigativi legittimi. La procura sostiene che l’occultamento di questa prova ha impedito per decenni di risalire ai veri responsabili materiali del delitto, prolungando artificialmente l’impunità.
La difesa di Piritore
L’ex prefetto si dichiara innocente, affermando di aver agito esclusivamente seguendo gli ordini dei superiori e di non aver potuto operare autonomamente in una struttura gerarchica quale era la pubblica amministrazione dell’epoca. La sua difesa sostiene che le decisioni riguardanti le prove e l’orientamento delle indagini non potevano provenire da un singolo funzionario, ma dovevano essere frutto di decisioni assunte a livelli superiori della catena di comando. Questa posizione solleva interrogativi sul sistema di responsabilità collettiva che potrebbe aver caratterizzato il depistaggio.
Il ruolo dell’ex prefetto Filippo Piritore
La carriera di Piritore nell’amministrazione palermitana
Filippo Piritore rappresentava un’alta figura della pubblica amministrazione durante gli anni Ottanta a Palermo, un periodo in cui la mafia esercitava un’influenza massiccasulle istituzioni locali e le forze dell’ordine erano frequentemente infiltrate da elementi corrotti o conniventi. La sua posizione di prefetto lo poneva al vertice della struttura amministrativa provinciale, conferendogli responsabilità dirette su investigazioni di interesse pubblico di primaria importanza. La scelta di Piritore di occultare prove in un delitto così rilevante solleva questioni sulla natura della sua lealtà istituzionale e sui possibili condizionamenti subiti da pressioni superiori.
Le responsabilità nella catena di comando
L’inchiesta attuale non si limita a Piritore, ma suggerisce che il depistaggio fosse parte di una strategia più ampia di protezione dei responsabili effettivi dell’omicidio. Se il guanto fosse stato sottoposto a esami balistici e genetici già allora — anche se la tecnologia del DNA era agli albori — avrebbe potuto fornire identificazioni cruciali anni prima. La responsabilità gerarchica coinvolge potenzialmente altri funzionari, politici e forse ambienti della criminalità organizzata stessa che coordinavano tali operazioni di insabbiamento.
Implicazioni sulla corruzione sistemica
L’arresto di Piritore espone dinamiche di corruzione sistemica che caratterizzavano apparati dello Stato durante quella fase della storia italiana. La pratica del depistaggio deliberato suggerisce che non si trattasse di omissioni casuali o di incapacità investigativa, ma di azioni consapevoli volte a proteggere persone influenti. Questo fenomeno, noto come “soffiata ai boss” o coordinamento tra apparati e mafia, rappresenta uno dei capitoli più oscuri della storia della sicurezza pubblica italiana.
I killer di Cosa Nostra: Nino Madonia e Giuseppe Lucchese
L’identificazione dei due esecutori materiali
Dopo 45 anni, la procura di Palermo ha ufficialmente iscritto nel registro degli indagati Nino Madonia e Giuseppe Lucchese, due noti killer professionisti di Cosa Nostra, l’organizzazione mafiosa siciliana. Entrambi sono già condannati per numerosi altri omicidi di rilievo e rimangono attualmente detenuti. L’identificazione ufficiale rappresenta il risultato di decenni di investigazioni, testimonianze di pentiti mafiosi e analisi di intercettazioni che hanno fornito elementi convergenti sulla loro responsabilità nel delitto Mattarella.
Profili criminali e precedenti
Nino Madonia è figura di spicco nella struttura mafiosa, membro di una famiglia che mantiene un ruolo rilevante nell’organizzazione. La sua inclusione negli indagati richiama la testimonianza di diversi pentiti che lo avevano nominato in relazione all’omicidio Mattarella, testimonianze che rimanevano però non confermate ufficialmente fino all’arresto di Piritore e alla riapertura delle indagini. Giuseppe Lucchese, altrettanto specializzato in omicidi eccellenti, rappresenta il tipo di killer professionista che Cosa Nostra reclutava per compiti delicati che richiedevano freddezza e capacità esecutiva collaudati.
Il contesto dell’omicidio politico
L’omicidio di Mattarella non rappresentava un delitto comune, ma un “omicidio politico” ordinato dai vertici di Cosa Nostra per neutralizzare un leader che ostaccolava gli interessi mafiosi. La decisione di utilizzare professionisti come Madonia e Lucchese suggerisce che l’organizzazione voleva assicurare l’esecuzione precisa del delitto, evitando improvvisazione o errori. Il fatto che il killer principale agisse a volto scoperto suggerisce una volontà di visibilità e intimidazione, non di anonimato, trasformando l’assassinio in un messaggio politico e terroristico.
Il motivo della condanna a morte: lo scontro politico e mafioso
La lotta contro gli appalti mafiosi
La Corte d’Assise che ha giudicato il caso evidenziò che Mattarella era stato bersagliato per la sua determinata posizione nel impedire l’aggiudicazione di appalti per sei miliardi di lire a gruppi di imprese variamente collegate ai vertici di Cosa Nostra, quando non direttamente espressione dell’organizzazione stessa. Questo intervento rappresentava una sfida diretta ai piani economici della mafia, che aveva consolidato una rete di imprese-fantoccio attraverso cui riciclare denaro e controllare risorse pubbliche. L’azione riformatrice di Mattarella era intollerabile per l’intero sistema criminale che si reggeva su queste connessioni tra affari, politica e mafia.
La supremazia di Vito Ciancimino
In quegli anni Palermo era dominata politicamente da Vito Ciancimino, sindaco e figura centrale della Democrazia Cristiana locale, il quale godeva di un forte appoggio diretto da parte di Cosa Nostra. Chiunque si opponesse agli interessi di Ciancimino e della mafia veniva sistematicamente neutralizzato, sia attraverso minacce che mediante eliminazione fisica. Mattarella, pur facente parte della medesima Democrazia Cristiana, rappresentava una corrente riformatrice che sfidava la corruzione sistematica e l’egemonia mafiosa, comportandosi come un corpo estraneo nel sistema. La sua morte rappresentò il tentativo di ristabilire l’ordine criminale e scoraggiare altri possibili riformatori.
Il laboratorio politico siciliano
La Sicilia degli anni Settanta e Ottanta costituiva un vero e proprio laboratorio di conflitti tra modernità politica e arretratezza mafiosa, tra forze riformatrici e potentati criminali. L’esperienza della Solidarietà Autonomistica con il PCI era rivoluzionaria per l’epoca e minacciava di scardinare equilibri consolidati. L’assassinio di Mattarella rappresentò quindi il tentativo della mafia di silenziare speranze di cambiamento, facendo ricorso al mezzo estremo della violenza terroristica.
Lo stato attuale dell’inchiesta
Le prospettive della ricerca della verità
L’inchiesta sul depistaggio e sull’omicidio Mattarella rimane attualmente in corso, con elementi ancora in fase di valutazione. L’arresto di Piritore rappresenta un punto di partenza per possibili sviluppi ulteriori, inclusa l’identificazione di altri funzionari coinvolti nel sistema di insabbiamento. Le autorità continuano a raccogliere testimonianze e a esaminare documentazione d’archivio che potrebbe chiarire il ruolo di superiori gerarchici e il coinvolgimento di ambienti politici nel depistaggio deliberato.
La commissione parlamentare d’inchiesta
I deputati del Partito Democratico Anthony Emanuele Barbagallo e Chiara Braga hanno proposto nel 2023 l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sull’omicidio Mattarella e sulla più ampia “stagione del terrorismo mafioso dal 1970 al 1993”. Questa iniziativa mira a acquisire una prospettiva nazionale sulla vicenda e a collegare l’omicidio Mattarella a molti altri crimini politici e mafiosi del medesimo periodo. L’istituzione di tale commissione rappresenterebbe un riconoscimento formale dello Stato italiano della necessità di fare piena luce su una pagina oscura della storia nazionale.
Il docufilm “Magma” e la memoria collettiva
Un docufilm intitolato “Magma. Mattarella, il delitto perfetto” ha recentemente ripercorso la storia dell’omicidio con interviste a testimoni dell’epoca, contribuendo a mantenere viva l’attenzione pubblica sulla vicenda. La riapertura delle indagini e la media attention hanno trasformato il caso Mattarella da semplice delitto giudiziario a questione storica e civile rilevante per l’intera società italiana. La ricerca della verità continua con determinazione, alimentata dalla volontà di onorare la memoria di Piersanti Mattarella e di comprendere appieno il funzionamento dei sistemi corrotti che lo sacrificarono.



