Trump conquista la Knesset: il messaggio a sorpresa a Netanyahu sul futuro del conflitto

Il presidente americano Donald Trump ha pronunciato il 13 ottobre 2025 un discorso alla Knesset israeliana che ha segnato una svolta nelle relazioni tra Stati Uniti e Israele. Trump ha proclamato la fine della guerra a Gaza, sottolineando che Israele “ha vinto tutto ciò che poteva con la forza delle armi”. Con un messaggio diretto e inaspettato a Netanyahu, il presidente ha dichiarato che il lungo conflitto è terminato, aprendo la strada a una nuova era di pace nel Medio Oriente.

Durante l’intervento di un’ora davanti al parlamento israeliano, Trump ha celebrato il rilascio degli ultimi 20 ostaggi viventi trattenuti da Hamas dal 7 ottobre 2023, definendo questo momento come “l’alba storica di un nuovo Medio Oriente”. Il presidente ha enfatizzato che questo accordo di cessate il fuoco, da lui mediato, rappresenta non solo la fine di una guerra ma l’inizio di un’era di stabilità regionale. La sua presenza fisica alla Knesset, la prima di un presidente americano dal 2008, ha sottolineato il peso simbolico e politico di questa visita.

Il contesto storico del discorso alla Knesset

La prima visita presidenziale dal 2008

L’intervento di Trump alla Knesset ha rappresentato un evento storico di portata eccezionale. Nessun presidente americano aveva parlato davanti al parlamento israeliano da diciassette anni, rendendo questa occasione particolarmente significativa per le relazioni bilaterali. Il presidente è stato accolto con standing ovation prolungata e applausi entusiastici da parte dei parlamentari israeliani presenti.

La scelta di Trump di pronunciare questo discorso proprio nel giorno del rilascio degli ostaggi non è stata casuale. Il presidente ha voluto collegare simbolicamente la liberazione dei prigionieri con la sua visione di una pace duratura, creando un momento di forte impatto emotivo. Nel pubblico erano presenti figure chiave dell’amministrazione americana, tra cui il segretario di Stato Marco Rubio, il segretario alla Difesa Pete Hegseth e il capo di gabinetto della Casa Bianca Susie Wiles.

Le dinamiche dell’accordo di cessate il fuoco

L’accordo di cessate il fuoco mediato dall’amministrazione Trump prevedeva uno scambio complesso: il rilascio dei 20 ostaggi israeliani ancora vivi in cambio della liberazione di oltre 250 prigionieri palestinesi. Questo meccanismo rappresentava la prima fase di un piano più ampio volto a porre fine permanente ai combattimenti nella Striscia di Gaza.

Trump ha sottolineato come questo accordo sia stato il risultato di intense trattative diplomatiche condotte dal suo inviato speciale Steve Witkoff e dal genero Jared Kushner, entrambi presenti alla Knesset. Il presidente ha enfatizzato che la proposta americana ha ricevuto “il sostegno di quasi tutto il mondo”, evidenziando l’ampio consenso internazionale raggiunto.

L’atmosfera alla Knesset

Durante il suo discorso, Trump ha descritto con toni solenni il momento storico: “Dopo due anni angoscianti nell’oscurità e in cattività, 20 coraggiosi ostaggi stanno tornando nell’abbraccio glorioso delle loro famiglie”. Il presidente ha dipinto un quadro poetico della situazione: “I cieli sono calmi, le armi tacciono, le sirene sono silenziose e il sole sorge su una terra santa finalmente in pace”.

Il messaggio inatteso a Netanyahu sul futuro del conflitto

La dichiarazione sulla vittoria militare

Il momento più significativo e potenzialmente controverso del discorso è arrivato quando Trump ha rivolto un messaggio diretto al primo ministro Benjamin Netanyahu. Con parole inequivocabili, il presidente americano ha affermato: “Israele, con il nostro aiuto, ha vinto tutto ciò che poteva con la forza delle armi. Avete vinto”. Questa dichiarazione rappresentava un chiaro segnale che, secondo Trump, era giunto il momento di chiudere il capitolo militare e abbracciare la diplomazia.

Le parole di Trump assumevano un peso particolare considerando che Netanyahu non si era spinto fino a dichiarare concluso il conflitto. Il presidente americano stava quindi superando la posizione del primo ministro israeliano, ponendosi come garante della fine delle ostilità. Trump ha inoltre proclamato solennemente: “Questa lunga e difficile guerra è ora terminata”, una formulazione netta che non lasciava spazio a interpretazioni ambigue.

Le implicazioni politiche del messaggio

Il messaggio di Trump conteneva una duplice valenza. Da un lato, riconosceva i successi militari israeliani e il ruolo americano nel supportarli. Dall’altro, stabiliva un limite chiaro: la fase militare doveva considerarsi conclusa. Questa posizione metteva Netanyahu di fronte alla responsabilità di accettare la nuova fase diplomatica e di non cercare ulteriori obiettivi militari.

Netanyahu, nella sua risposta, ha mostrato apprezzamento per la leadership di Trump, definendo la sua proposta come “una proposta che riporta a casa tutti i nostri ostaggi, una proposta che pone fine alla guerra raggiungendo tutti i nostri obiettivi”. Il primo ministro israeliano ha aggiunto che la proposta “apre la porta a un’espansione storica della pace nella nostra regione e oltre”, allineandosi alla visione del presidente americano.

Il gesto sorprendente della richiesta di grazia

In un momento che ha colto di sorpresa molti presenti, Trump ha chiesto al presidente israeliano Isaac Herzog di graziare Netanyahu, che attualmente affronta un processo per accuse di corruzione, frode e abuso di fiducia. Questo gesto ha provocato una lunga standing ovation da parte del pubblico presente alla Knesset, dimostrando il forte sostegno che Trump gode tra i parlamentari israeliani.

La richiesta di grazia rappresentava un intervento diretto nelle questioni interne israeliane, un passo inusuale per un presidente straniero. Tuttavia, questo gesto sottolineava la vicinanza personale tra Trump e Netanyahu e il desiderio del presidente americano di rimuovere ostacoli che potrebbero complicare l’implementazione dell’accordo di pace.

Le critiche ai predecessori e la retorica trumpiana

Gli attacchi a Obama e Biden

Trump non ha perso l’occasione per criticare aspramente i suoi predecessori alla Casa Bianca. Il presidente ha accusato direttamente Barack Obama e Joe Biden di avere “odio verso Israele”, una formulazione particolarmente forte che riflette lo stile polemico caratteristico di Trump. Questa accusa si inseriva in una narrativa più ampia secondo cui l’amministrazione Trump rappresenterebbe una rottura netta con le politiche medio-orientali delle amministrazioni democratiche.

Il presidente ha inoltre espresso orgoglio per aver ritirato gli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano negoziato durante l’amministrazione Obama. Questo riferimento serviva a rafforzare le sue credenziali pro-israeliane e a contrapporre il suo approccio “di forza” con quello “di appeasement” dei democratici.

La retorica della “nuova alba”

Trump ha utilizzato un linguaggio enfatico e visionario per descrivere il momento storico. “Questa non è solo la fine di una guerra. Questa è la fine di un’era di terrore e morte e l’inizio dell’era della fede, della speranza e di Dio”, ha proclamato il presidente. Questa retorica religiosa e salvifica risuonava particolarmente bene con il pubblico israeliano e con la base evangelica americana che sostiene Trump.

Il presidente ha proseguito affermando che “tra generazioni, questo sarà ricordato come il momento in cui tutto ha cominciato a cambiare”. Trump ha anche fatto un parallelo esplicito con la situazione americana, sostenendo che come gli Stati Uniti stanno vivendo una “età dell’oro”, anche Israele e il Medio Oriente entreranno in una fase di prosperità.

Il vanto sui successi diplomatici

Con il suo caratteristico stile autocelebrativo, Trump ha dichiarato: “Se pensate che abbiamo risolto otto guerre in otto mesi, ora sto includendo anche questa”. Il presidente ha aggiunto con tono scherzoso: “Ieri dicevo sette, ma ora posso dire otto”, sottolineando come la risoluzione del conflitto israelo-palestinese si aggiungesse alla lista dei suoi presunti successi diplomatici.

I riconoscimenti e le nomine prestigiose

La nomination per l’Israel Prize

Netanyahu ha annunciato durante l’evento una nomina straordinaria: Trump diventerà il primo non-israeliano a ricevere l’Israel Prize, il più alto riconoscimento nazionale di Israele. Questa decisione testimoniava la gratitudine del governo israeliano per il ruolo svolto da Trump nel mediare l’accordo di cessate il fuoco e nel sostenere costantemente le posizioni israeliane.

Il primo ministro ha inoltre rivelato che lo speaker della Knesset presenterà la candidatura di Trump al Premio Nobel per la Pace del prossimo anno. Netanyahu, rivolgendosi a Trump con un sorriso, ha commentato: “Per quanto riguarda quell’altro premio, è solo questione di tempo, lo otterrai”, alludendo al fatto che il Nobel sarebbe stato un riconoscimento inevitabile.

Il significato simbolico dei premi

Questi riconoscimenti avevano una valenza politica significativa. Da un lato, rafforzavano il legame personale tra Trump e Netanyahu, consolidando una partnership che entrambi i leader consideravano cruciale. Dall’altro, servivano a legittimare internazionalmente l’accordo raggiunto, presentando Trump come un autentico pacificatore meritevole dei massimi onori.

La scelta di rendere Trump il primo straniero a ricevere l’Israel Prize rappresentava anche un messaggio ai futuri leader americani: il sostegno incondizionato a Israele viene riconosciuto e premiato al massimo livello. Questo precedente potrebbe influenzare le politiche future delle amministrazioni americane verso il conflitto israelo-palestinese.

La presenza della famiglia Trump

All’evento erano presenti la figlia di Trump, Ivanka, e il genero Jared Kushner. La presenza di Kushner aveva un particolare significato, dato il suo coinvolgimento diretto nelle negoziazioni che hanno portato all’accordo. Kushner era stato una figura chiave anche negli Accordi di Abramo durante il primo mandato di Trump, confermando il suo ruolo di principale architetto della politica medio-orientale trumpiana.

Il summit di pace e le prospettive regionali

L’incontro a Sharm El-Sheikh

Dopo il discorso alla Knesset, Trump si è recato a Sharm El-Sheikh, in Egitto, per partecipare a un summit di pace internazionale. All’evento erano previsti oltre 20 leader mondiali, pronti a firmare un accordo sul futuro di Gaza e sulla stabilizzazione regionale. Questo vertice rappresentava la fase successiva del processo diplomatico innescato dal cessate il fuoco.

Il summit aveva l’obiettivo di definire un quadro internazionale per la ricostruzione di Gaza e per garantire che il cessate il fuoco si trasformasse in una pace duratura. La partecipazione di numerosi leader arabi e occidentali dimostrava l’ampio sostegno internazionale al piano di Trump e la volontà di coinvolgere attivamente la comunità internazionale nella stabilizzazione dell’area.

L’assenza di Netanyahu

Un dettaglio significativo è stata l’assenza di Netanyahu al summit di pace. Il primo ministro israeliano ha declinato l’invito di Trump, citando la vicinanza di una festività religiosa come motivazione ufficiale. L’ufficio del primo ministro ha dichiarato: “Il primo ministro ha ringraziato il presidente Trump per il suo invito, ma ha detto che non sarebbe stato in grado di partecipare a causa della vicinanza della festività”.

Questa assenza potrebbe essere interpretata in diversi modi. Da un lato, potrebbe trattarsi semplicemente di un legittimo impedimento religioso. Dall’altro, alcuni osservatori potrebbero vederla come un segnale che Netanyahu preferisce mantenere una certa distanza dalle discussioni sul futuro di Gaza, lasciando a Trump e alla comunità internazionale la responsabilità di definire i prossimi passi.

La visione di una “pace attraverso la forza”

Netanyahu, nel suo messaggio a Trump, ha sottolineato il concetto di “pace attraverso la forza”, una formula che riflette l’approccio israeliano alla sicurezza. Il primo ministro ha ringraziato Trump “per i suoi sforzi nell’espandere il circolo della pace”, suggerendo che l’accordo con Hamas potrebbe essere solo il primo passo verso una normalizzazione più ampia dei rapporti tra Israele e altri paesi arabi.

Questa visione si collega agli Accordi di Abramo del 2020, quando Trump aveva mediato la normalizzazione tra Israele ed Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Marocco e Sudan. L’amministrazione Trump sperava che il cessate il fuoco a Gaza potesse sbloccare ulteriori accordi di pace, in particolare con l’Arabia Saudita, creando un vero e proprio “nuovo Medio Oriente”.

Le sfide per una pace duratura

Nonostante l’ottimismo espresso da Trump, sfide significative rimangono per assicurare una pace duratura. Il presidente stesso ha notato che un precedente cessate il fuoco di sei settimane concordato a gennaio era fallito, sollevando dubbi sulla tenuta del nuovo accordo. Le domande su “cosa succederà dopo” restano numerose, e la comunità internazionale dovrà lavorare intensamente per evitare una ripresa delle ostilità.

La ricostruzione di Gaza, il futuro governo del territorio, la sicurezza di Israele e i diritti dei palestinesi sono tutti temi complessi che richiedono soluzioni sostenibili. Il successo dell’accordo dipenderà dalla capacità di tutte le parti coinvolte di rispettare gli impegni presi e di collaborare costruttivamente nella fase di implementazione.

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