Ora che il mondo intero è alle prese con la pandemia coronavirus, inizia ad essere chiaro che, investire nella preparazione delle epidemie, sarà in futuro un punto fondamentale sui cui concentrarsi.
Nonostante non si sia mai sicuri di come prepararsi, quello che è certo è che non possiamo dire di non essere stati avvertiti.
Negli ultimi 15 anni, una serie di epidemie come Sars, influenze suine ed aviaria avevano già causato danni a persone ed economie di tutto il mondo, seppur in modo più circoscritto.
Oggi ci troviamo di fronte ad una situazione senza precedenti, come quelle viste nei film e mai ci saremmo aspettati che potesse accadere nella nostra realtà, eppure eccoci qui.
Ci siamo riscoperti, all’improvviso, estremamente fragili sia come individui, sia come comunità e soprattutto impreparati di fronte a questa nuova e inaspettata crisi.
Negli ultimi due mesi abbiamo assistito allo svuotamento dei luoghi pubblici come bar e ristoranti, al rallentamento di attività commerciali e negozi, a un declino della mobilità personale, ad alcuni comportamenti irresponsabili come l’invasione barbarica dei supermercati e l’incapacità di alcuni individui di seguire le norme di sicurezza.
Se è vero che dai momenti di difficoltà si può rinascere più forti, sia come singole persone, sia come comunità, allora cosa possiamo imparare da questo periodo difficile, e come riuscire a essere più pronti in futuro?
- La prima e più importante lezione che forse abbiamo già appreso è sicuramente l’educazione alla salute, questa epidemia ha dimostrato che le persone semplicemente non sanno come muoversi. Se non i genitori, nessuno ci prepara nella vita, a gestire ciò che non possiamo vedere. Dovrebbero insegnarci a scuola, fin da piccoli, come lavarci le mani, cosa sono germi e batteri e come fare nella vita di tutti i giorni, a difenderci.
Il coronavirus ci ha fatto capire che dobbiamo investire risorse importanti per l’educazione. Un’adeguata istruzione alla salute consentirebbe di far capire alla gente perché è necessaria la quarantena, perché lo sport e gli eventi pubblici si devono fermare, perché è meglio non invadere le farmacie per comprare mascherine e perché non si dovrebbe correre in ospedale ai primi sintomi.
- La seconda lezione è la credibilità dei media. Dall’inizio della pandemia, prima a Wuhan, e poi nel resto del mondo, i media hanno usato un linguaggio che ha instillato paure e ansia tra il grande pubblico. Inoltre sulle pagine social delle principali testate giornalistiche, non si leggeva altro che del coronavirus, facendo a gara per il titolo più drammatico in modo da generare click. Questo comportamento, oltre a diffondere il panico, non ha lasciato spazio ad altre notizie importanti come la situazione in Siria o ai tragici racconti sui migranti che sono state costantemente catalogate come meno importanti. Questa onnipresenza del Coronavirus, ha aiutato, da un lato, alcuni a capire la situazione, ma dall’altro ha gettato le basi per comportamenti irresponsabili. Abbiamo visto crescere i pregiudizi nei confronti dei cinesi prima e degli italiani poi. Abbiamo anche assistito a un’infinità di fake news e alla proliferazione di truffe per disinfettanti e mascherine. Mi auguro che tutto questo abbia insegnato ai media che il loro lavoro è davvero importante, che possono condizionare i comportamenti delle persone e che in futuro siano più consci del loro potere e che lo usino al meglio, per informare il mondo con notizie vere per il bene comune e non per avere maggior vendite e visualizzazioni.
- La terza lezione che dovremmo imparare, soprattutto in ambito economico, è la continuità aziendale. In questi giorni stiamo leggendo molto in ambito sicurezza sul posto di lavoro, smart working etc. Sebbene il miglioramento dell’ambiente di lavoro rimanga un aspetto essenziale in risposta alle epidemie, un quadro di preparazione più completo dovrebbe diventare un obbligo per qualsiasi azienda. Un titolare o amministratore delegato dovrebbe essere subito in grado di sapere come e cosa dire a dipendenti, investitori, fornitori e clienti. Forse non ci eravamo ancora accorti di come la salute sia strettamente legata al benessere e allo sviluppo umano, che sono due fattori che consentono alle imprese di prosperare. È giunto il momento per il settore privato di integrare gli obiettivi sanitari nella propria mission.
- Un’altra lezione che forse abbiamo già imparato, riguarda i sistemi sanitari di tutto il mondo, che devono necessariamente essere riformati per far fronte alle crisi globali. È ormai evidente che molti sistemi sanitari non sono preparati ad affrontare le pandemie, sia per i continui tagli, sia perché nessun ospedale è in grado di gestire, in termini di personale e di infrastrutture, le degenze croniche sul lungo periodo. In Italia, ad esempio, il sistema sanitario, che pur gode di un’ottima reputazione a livello internazionale, è a serio rischio di collasso se l’epidemia non dovesse rallentare nei prossimi giorni. Ma pensiamo all’estero, dal sistema sanitario nord europeo a quello statunitense, dove la preoccupazione per le spese sanitarie continua a salire. In un recente articolo del Time, veniva trattato il tema tamponi come prospettiva potenzialmente costosa per milioni di americani. Quasi 30 milioni di americani attualmente non hanno assicurazioni sanitarie di alcun tipo e per coloro che hanno un’adeguata assicurazione, la franchigia media per una singola persona è aumentata del 162% negli ultimi dieci anni. Questa pandemia ci può e ci deve insegnare a fare di tutto per orientare gli Stati, verso una copertura sanitaria universale per i loro cittadini e non. La salute non dovrebbe avere prezzo.
- Infine, l’ultima lezione che tutti dovrebbero imparare è che siamo in unico mondo, bisogna iniziare a pensare globalmente su tutti i problemi, in primis a quelli legati alla salute. Quello che è mancato nelle prime ore della diffusione del coronavirus è stato proprio un coordinamento globale. Purtroppo quando si parla di epidemie e pandemie, la domanda non è mai se queste torneranno, ma quando lo faranno. L’Organizzazione Mondiale della Sanità valuta circa 7.000 potenziali segnali di un’epidemia ogni mese e noi ci spostiamo come mai prima d’ora. Siamo diventati sempre più connessi e il problema di uno ci mette poco a diventare il problema di tutti. Preservare il nostro stile di vita impone che vengano adottate delle regole globali, smetterla di vederci come singole nazioni ma come un’unica nazione che se prospera lo fa insieme, e se affonda, affonda insieme. Lo abbiamo iniziato a vedere per i problemi climatici, che non sono certo finiti, e adesso con il coronavirus. Non poteva esserci segnale migliore, vediamo se finalmente riusciremo a coglierlo e ad agire di conseguenza.
Queste sono le mie considerazioni, ciò che ho imparato dopo questi due mesi, spero possano esserti utili per capire che si tratta di un problema di tutti e che ognuno può e deve fare la sua parte stando il più possibile in casa.
Alla fine non è così male, puoi finalmente goderti i tuoi spazi, ascoltare la musica, ballare con i tuoi figli, divertirti lo stesso dando sfogo alla creatività. Guardare finalmente quel film con tutta la famiglia e usufruire di tutti i servizi streaming per fare quelle maratone davanti ai programmi e alle tue serie tv preferite che non hai mai tempo di fare. Insomma potresti salvare il mondo, stando sul divano.
Paolo Faro
__________________
Domotic One – Progettisti di case intelligenti